Pubblichiamo alcuni spunti di riflessione su problematiche che molte imprese si stanno ponendo in questo difficile momento di emergenza sanitaria, che ha comportato un’obbligata contrazione – quando non temporanea cessazione – delle attività.
Posso liberarmi dagli impegni assunti o sciogliermi dai contratti a causa dell’emergenza Covid-19? Quali le risposte del diritto all’attuale crisi sanitaria ed economica?
L’attuale situazione di grave difficoltà economica, con i suoi inevitabili riflessi sulla vita delle imprese e di ciascuno di noi, induce ad interrogarsi se l’epidemia da Covid-19, formalmente riconosciuta in numerosi provvedimenti normativi come “evento eccezionale e di grave turbamento dell’economia”, possa costituire valido motivo per giustificare un inadempimento contrattuale o addirittura lo scioglimento da impegni e ordinativi in precedenza assunti.
In sostanza, vi sono strumenti che il diritto mette a disposizione in un momento così drammatico? Se sì, quali?
Preciso fin da subito che manca, allo stato, un chiaro e risolutivo intervento normativo che tenga nel dovuto conto lo stato di emergenza attuale e – soprattutto – quello futuro. Allo stesso tempo è impossibile non sottolineare come la situazione non abbia alcun precedente (non solo storico ma anche e soprattutto) giuridico, per cui non esistono soluzioni “confezionate” da adattare al singolo caso.
Tuttavia, è possibile argomentare in merito ad alcune forme di tutela facendo riferimento sia al diritto generale dei contratti, sia ad uno dei recentissimi Decreti Legge relativi all’emergenza sanitaria.
1. Partendo proprio dai provvedimenti emergenziali, rilevo come l’art. 91 del D.L. n. 18/2020 (c.d. Cura Italia), pubblicato nella G.U. del 17.03.2020, preveda che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Questa disposizione non genera l’automatica possibilità di non adempiere alle obbligazioni assunte e di liberarsi dagli impegni contrattuali, ma introduce un criterio interpretativo, in base al quale può divenire giustificato l’inadempimento qualora esso trovi la propria giustificazione nelle misure adottate per il contenimento del virus (forte limitazione o chiusura dell’attività d’impresa).
In pratica, questa norma consente di alleggerire l’onere probatorio posto normalmente a carico del soggetto inadempiente, e rimette la valutazione della situazione concreta al Giudice, che dovrà inevitabilmente decidere caso per caso.
L’articolo introdotto con il Cura Italia rappresenta una deroga espressa al principio generale posto dall’art. 1218 c.c., norma secondo cui il debitore che non adempie esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno. Al tempo stesso, finisce per costituire una specificazione dell’eccezione contenuta nello stesso articolo appena richiamato, secondo la quale la parte ha la possibilità di provare che l’inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Con l’art. 91 del D.L. Cura Italia è stata dunque introdotta una giustificazione all’impossibilità di adempimento, giustificazione la cui esistenza dovrà tuttavia essere dimostrata in concreto.
2. A tal riguardo, è opportuno ricordare come già in base all’art. 1256 c.c. l’obbligazione si estingua quando, per causa non imputabile al debitore, l’adempimento diviene impossibile. Alla sopravvenuta impossibilità oggettiva si deve accompagnare l’assenza di responsabilità del debitore (in caso d’impossibilità solo temporanea sarà poi giustificato il ritardo nella prestazione).
Si tratta di norma particolarmente importante nel caso di obbligazioni che potevano essere adempiute entro un certo periodo di tempo tramite lavorazioni divenute oggi impossibili da compiere, a causa della chiusura dello stabilimento. Riterrei più complesso ma comunque da valutare nei singoli casi, invocare l’impossibilità di adempiere una prestazione consistente nel pagamento di una somma di denaro.
3. Il Codice civile conosce anche un’altra figura che rileva nelle ipotesi in cui si verifichino eventi straordinari ed imprevedibili che incidano sulle prestazioni contrattuali delle parti. L’art. 1467 c.c. prevede, infatti, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta: si perviene allo scioglimento del vincolo contrattuale quando gli avvenimenti siano tali da incidere in modo assai rilevante sull’originario rapporto di equivalenza fra le rispettive obbligazioni pattuite in contratto. Anche in questo caso, però, è necessario valutare il singolo caso, posto che la risoluzione è possibile solo quando lo squilibrio di una delle prestazioni è tale da andare oltre l’incertezza economica del singolo affare (il Codice parla di “alea normale”).
4. Si segnala, infine, la possibilità di invocare l’art. 9 della Legge 18.06.1998 n. 192 (“Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”), disposizione che regola l’abuso di dipendenza economica di un’impresa nei confronti di un’impresa cliente o fornitrice. Rilevato che lo stato di oggettiva difficoltà economica potrebbe portare una delle parti a chiedere una rinegoziazione dei termini del contratto, l’eventuale rifiuto della controparte di procedere in tal senso potrebbe essere considerato un vero e proprio abuso, dando luogo alla situazione di dipendenza prevista dalla disposizione appena ricordata, che sancisce con la nullità il contratto attraverso il quale tale abuso si è realizzato.
5. Naturalmente, la decisione di sciogliersi da un contratto non è spesso la via preferibile, in ottica di prosecuzione dell’attività d’impresa. Per questo motivo, la strada indicata dalla regola della buona fede contrattuale (art. 1375 c.c.) è quella di tentare una modifica delle condizioni che possa ad esempio rinegoziare i tempi di esecuzione della prestazione, o ridurne i costi. Del resto, lo stesso art. 1467 c.c., sopra richiamato in materia di risoluzione, stabilisce che “La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.”.
Alcuni interpreti, che in questo momento inedito per il diritto dei contratti si stanno interrogando sui rimedi concessi alle parti, ritengono che il rifiuto della modifica di condizioni contrattuali, chieste e fondate su dati oggettivi (come l’attuale situazione economica), possa portare ad una giustificata eccezione d’inadempimento (art. 1460 c.c.) o addirittura a risoluzione del contratto per inadempimento, argomentando sulla violazione del canone di buona fede (art. 1375 c.c.).
In conclusione, alla luce dell’attuale situazione normativa, per il momento caratterizzata – a mio sommesso avviso – da strumenti non del tutto adeguati, non è possibile sostenere la possibilità di sciogliersi in maniera automatica ed ingiustificata dai vincoli contrattuali, dalle obbligazioni assunte o dagli ordini ricevuti e/o effettuati. Tuttavia, è possibile dimostrare in concreto come gli attuali (e futuri) eventi straordinari ed imprevedibili (quali sono certamente l’attuale emergenza sanitaria e le conseguenti misure di contenimento) possano aver provocato l’impossibilità di adempiere agli impegni assunti chiedendo di conseguenza una rinegoziazione delle condizioni o addirittura la risoluzione contrattuale.
Come detto più volte, la valutazione concreta del caso resta essenziale per una corretta tutela dei propri diritti.
Avv. Gabriele Pica Alfieri
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