Abbiamo affrontato in occasione della nostra prima newsletter il tema del diritto alla salute e della responsabilità civile del medico, con particolare attenzione al dibattito che l’art. 3 della Legge Balduzzi (L. n. 182/2012) ha sollevato in merito alla natura contrattuale o extra-contrattuale della responsabilità del medico.
L’interpretazione che avevamo individuato come prevalente ha trovato successiva conferma in varie pronunce della giurisprudenza di merito (ad es., Trib. Palermo 22.08.2016: “la responsabilità del medico ospedaliero, anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 189/2012, è da qualificarsi come contrattuale”).
Nell’attesa dell’approvazione del disegno di Legge Gelli – Bianco, di cui rendiamo conto anche questo mese tra le news in breve, destinato a rivoluzionare il sistema di responsabilità del medico, ne approfittiamo per chiarire alcuni nodi centrali di questo argomento.
L’importanza della perizia
Rappresenta certamente un tema particolarmente sentito quello della responsabilità del medico nell’adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale.
Riteniamo che sia ormai un dato di comune esperienza in ciascun fruitore di prestazioni mediche che il tipo di diligenza ed attenzione necessaria abbia una natura non generica (del cd. buon padre di famiglia), bensì qualificata in conformità alla natura dell’attività esercitata: tale forma di diligenza qualificata è la perizia, intesa come adeguata conoscenza ed applicazione dell’insieme delle regole tecniche proprie dell’arte medica, sia sotto il profilo generale del rispetto delle regole comune a tutti i rami della professione, sia di quelli più propriamente attinenti al settore specifico di riferimento, per individuare i quali si dovrà tenere conto dei continui aggiornamenti della scienza medica.
Incorrerà perciò in colpa medica l’esercente una professione sanitaria che non rispetti, oltre ai generali doveri di diligenza e prudenza, i doveri di perizia nei termini sopra tratteggiati. In sostanza, ed in estrema sintesi, è richiesto al professionista medico uno standard di diligenza superiore al normale e tale pretesa, stabilita anche dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, è certamente conforme al comune sentire.
Se i principi sopra accennati appaiono chiari, certamente è questione non semplice l’accertamento in concreto dell’esistenza di una responsabilità professionale del medico o del personale sanitario in genere.
Il medico risponde del risultato?
Si tratta di una domanda centrale per il paziente, la cui aspettativa deve tuttavia essere bilanciata con le difficoltà connaturate all’attività in esame.
Aldilà della questione circa la natura di tale responsabilità contrattuale o extra-contrattuale affrontata nella newsletter del giugno scorso (e ricordiamo come anche tale questione abbia importanti ed interessanti riflessi pratici), è certamente rilevante e di persistente attualità la questione circa la collocazione delle obbligazioni dell’esercente l’arte medica fra le obbligazioni di mezzo o di risultato, dovendosi intendere con le prime quelle in cui il debitore è tenuto a svolgere una determinata attività, senza garantire che il creditore consegua il risultato sperato; le seconde, invece, sono quelle in cui il debitore (in questo caso il medico) è tenuto a realizzare proprio un determinato risultato quale esito della propria attività.
Tale diversità è densa di conseguenze sotto il regime probatorio, incombendo nel primo caso (obbligazione di mezzi) al paziente la prova dell’inesatto adempimento per il quale si terrà conto della natura dell’attività esercitata ex art. 1176, secondo comma, Cod. civ., mentre per le obbligazioni di risultato spetterà al paziente un onere probatorio ben inferiore (limitato al titolo dell’obbligazione).
Affermare la natura di obbligazione di risultato per una prestazione quale quella medica, che richiede in genere la risoluzione di problemi di particolare complessità rappresenta un dato non semplice.
La dicotomia in esame è stata oggetto negli ultimi anni di una profonda revisione interpretativa, avendo inizialmente la giurisprudenza posto in particolare l’accento sulla distinzione fra interventi di facile ed interventi di difficile esecuzione, operando nel primo caso una presunzione di negligente adempimento da parte del sanitario per l’ipotesi di un aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie. In caso invece d’interventi complessi, ricadeva sul paziente l’onere della prova circa l’esistenza di un errore terapeutico.
La posizione della giurisprudenza
L’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13553/2001 ha tuttavia rappresentato un primo superamento di tale orientamento, con lo spostamento dell’onere della prova in capo al sanitario debitore della prestazione medica circa l’avvenuta corretta estinzione dell’obbligazione. Conseguenza di tale affermazione è che grava sul medico l’onere della prova che l’evento dannoso si è verificato a causa di un fattore estraneo privo di collegamento causale con l’intervento sanitario.
Successive pronunce hanno via via affermato che l’ente sanitario ed il medico che ne fa parte sono contrattualmente impegnati al risultato che sia conseguibile in base ai criteri di normale applicazione della scienza medica sino a giungere ad affermare (cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 8826/2007) che si ha mancato raggiungimento del risultato anche in caso di mancato miglioramento delle condizioni del paziente e non soltanto in caso di suo peggioramento. Si tratta della maturazione di un orientamento che rende certamente più difficile la posizione del medico strutturato, scoraggiandone l’iniziativa personale, ma rende sicuramente più tutelato il paziente.
Particolarmente significativa in proposito è la pronuncia della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 577/2008, che ha sancito il definitivo tramonto della distinzione fra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, avendo la Corte ritenuto che “in ogni obbligazioni si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile”.
La successiva giurisprudenza di merito non si è tuttavia adagiata su tale indicazione, rimanendo il tema motivo di acceso confronto. Siamo forse lontani da un punto di arrivo definitivo, ammesso che di definitività si possa parlare nel mondo dell’interpretazione giuridica.
In conclusione?
È tuttavia certo che di un punto di arrivo si sente l’esigenza in un settore così delicato: summum ius summa iniuria dicevano i latini. Certamente la sentenza da ultimo richiamata è particolarmente significativa.
In ogni caso, la tematica della responsabilità del medico non si esaurisce certamente con queste brevi ed incomplete note, essendo numerosi gli ulteriori aspetti da valutare: da quale debba essere la valutazione del nesso di causalità a quale sia il contenuto dell’onere di allegazione dei fatti per il paziente, e cioè se il soggetto danneggiato debba spingersi a precisare tutti i particolari dell’intervento e ad individuare i concreti profili di colpa. Vi è inoltre da considerare l’importante tematica del consenso informato, sulla quale ci riserviamo di tornare.
È evidente che l’attuale stato dell’evoluzione giurisprudenziale risente pesantemente dei mutati rapporti in ambito sociale, nei quali l’ambito della relazione appare spesso compresso dall’estrema intensificazione dei processi d’individualizzazione dei diritti. Appare pericolosa una società che, soggetta ad un costante impoverimento, interpreti i conflitti utilizzando come base esclusiva di valutazione i pur sacrosanti diritti individuali senza un’adeguata considerazione dei doveri di solidarietà sociale e di responsabilità nell’utilizzo di forme di protezione collettiva (qual è il sistema sanitario). Siamo consapevoli che tale riflessione coinvolge diversi livelli di responsabilità nel sistema, a monte rispetto al verificarsi dei fenomeni di malasanità e comporti la necessità di un ripensamento – da un lato – delle forme di protezione sociale e – dall’altro – del rispetto da parte del cittadino fruitore dei servizi, dei doveri di partecipazione al buon funzionamento del sistema (fermo rimanendo che la tutela sanitaria è diritto della persona). Sono tuttavia riflessioni che l’operatore del diritto non può certamente ignorare, essendo l’interpretazione della norma vivente sensibile alla realtà sociale del momento.