Il termine “anatocismo”, di difficile comprensione per il non giurista, indica il fenomeno della capitalizzazione degli interessi. Si tratta del meccanismo per cui gli interessi scaduti su di una somma dovuta sono sommati al capitale sul quale erano stati calcolati (si capitalizzano, appunto) e sono dunque suscettibili di produrre a loro volta interessi. Questa vera e propria produzione d’interessi sugli interessi è un fenomeno col quale si sono spesso scontrati i risparmiatori, che hanno visto crescere sempre di più nel tempo il loro debito verso le banche. Sono queste, infatti, i soggetti che hanno spesso applicato capitalizzazioni (anche trimestrali) degli interessi su somme concesse a mutuo o sugli scoperti di conto corrente. Oltre ad essere identificato da una parola complessa, l’anatocismo è anche un istituto che, a causa della disciplina giuridica che lo ha caratterizzato, ha provocato numerose incertezze applicative da parte degli operatori del settore e, conseguentemente, un alto contenzioso nei Tribunali.
La notizia dell’estate appena trascorsa è che l’anatocismo sembra essere diventato un istituto giuridico in via di estinzione. Infatti, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C.I.C.R.) ha approvato il 3 agosto 2016 la delibera n. 343, che detta le norme regolamentari di attuazione della riforma dell’art. 120 del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario) operata con il D.L. n. 18/2016, convertito nella Legge n. 49/2016.
Cosa prevede la nuova disciplina?
Tralasciando tutti i dubbi che possono sorgere circa l’applicabilità del nuovo testo dell’art. 120 T.U.B. ai contratti bancari in corso, la disposizione di Legge è abbastanza chiara. Oggetto di modifica, infatti, è stato il secondo comma, che nel testo riformato prevede nei rapporti bancari la medesima periodicità nel calcolo degli interessi creditori e debitori, con periodicità comunque non inferiore ad un anno, nonché l’espresso divieto di anatocismo, eccezion fatta per gli interessi di mora. La delibera C.I.C.R. del 3 agosto 2016, che è chiamata dallo stesso art. 120 T.U.B. ad attuare la previsione di Legge, si pone in questa stessa linea, prevedendo il divieto di capitalizzazione degli interessi, tranne nel caso d’interessi di mora. Al risparmiatore è poi garantito un periodo di trenta giorni prima che gli interessi maturati diventino esigibili. La delibera del C.I.C.R. prevede che dal 1 ottobre 2016 le nuove aperture di credito in c/c, comprese le operazioni di anticipo su crediti e documenti, gli sconfinamenti e i contratti già in essere, dovranno adeguare le proprie clausole alla nuova disciplina normativa dell’art. 120 T.U.B. Sembra, dunque, che si sia messa la parola fine ad una vicenda durata anni.
Ogni rapporto bancario sarà privo di anatocismo?
La riforma semplificherà molto il contenzioso legato alle incertezze applicative della normativa, ma non si può dire che la capitalizzazione degli interessi sparirà da ogni ambito del rapporto banca-cliente. In particolare, abbiamo appena notato che dell’art. 120 T.U.B. riscritto dal D.L. 18/2016 (nonché la delibera n. 343 del C.I.C.R.) ha mantenuto la possibilità di capitalizzazione degli interessi di mora. In concreto ciò significa che l’interesse corrispettivo previsto – ad esempio – nella rata del mutuo, al momento dell’inadempimento del mutuatario si capitalizza, cosicché sull’intero importo (capitale + interesse corrispettivo della rata) dovrà essere calcolato l’interesse di mora dovuto. Come accennato sopra, è questo il fenomeno dell’anatocismo: interessi che producono a loro volta interessi.
Inoltre, circa la previsione contenuta nell’art. 120 T.U.B. che consente al correntista di autorizzare l’addebito degli interessi scaduti sul conto corrente, gli interpreti più attenti hanno ritenuto che in alcuni casi si potrebbe continuare a parlare di anatocismo. Infatti, il secondo comma dell’art. 120 T.U.B. prevede che gli interessi scaduti siano considerati, dal momento dell’addebito, sorte capitale e sottoposti al relativo regime. In questo ambito, in caso di incapienza del fido, vi è chi ritiene che si possa parlare di capitalizzazione, tuttavia legittima perché prevista da una norma di Legge.
Permangono, infine, alcuni dubbi su quale sia la disciplina applicabile ai contratti bancari stipulati tra l’entrata in vigore della Legge di stabilità 2014 (1 gennaio 2014) e quella della riforma del 2016 (15 aprile 2016).
Se la delibera del 3 agosto 2016 è il punto d’arrivo della normativa, e dunque ciò che dal prossimo ottobre disciplinerà l’ambito bancario, è opportuno dare conto dell’evoluzione e delle varie riforme che si sono susseguite negli anni, causando una serie di incertezze che hanno portato ad un significativo incremento del contenzioso. Le stesse incertezze sull’applicazione del nuovo art. 120 T.U.B. ai contratti stipulati tra il 1 gennaio 2014 e il 15 aprile 2016, di cui abbiamo appena dato conto, sono figlie dei contrasti sorti sotto la disciplina previgente.
Vediamo allora di ripercorrere nel modo più breve possibile le tappe dell’evoluzione normativa in materia di anatocismo.
La disciplina codicistica e la sua applicazione fino al 1999.
L’anatocismo è disciplinato dall’art. 1283 Cod. civ., il quale dispone che “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.”. Come si può notare, la produzione di interessi sugli interessi è ritenuta dalla Legge un caso eccezionale, consentito solo in presenza di un’apposita domanda giudiziale, di un accordo tra le parti successivo alla scadenza degli interessi medesimi o in caso di esistenza di usi contrari.
Proprio con riferimento a questi ultimi, per lungo tempo la giurisprudenza della Cassazione aveva ritenuto che si potessero considerare tali le Norme Bancarie Uniformi predisposte dall’A.B.I. Ne era conseguito di ritenere legittime le prassi in voga nei contratti bancari, che prevedevano una capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (mentre per quelli creditori la capitalizzazione avveniva con cadenza annuale), in deroga al dettato del Codice civile. In altre parole, in campo bancario l’art. 1283 Cod. civ. non valeva, derogato da quelli che erano ritenuti usi normativi e che andavano inevitabilmente a sfavore del risparmiatore.
Il cambio di prospettiva.
Solo nel 1999, con le sentenze nn. 1096 e 2374, la Corte di Cassazione ha completamente ribaltato l’assunto per cui le Norme Bancarie Uniformi sarebbero usi normativi, in grado quindi di derogare al dettato dell’art. 1283 Cod. civ. Essendo predisposte da un’associazione di categoria (l’A.B.I.), le Norme Bancarie Uniformi non hanno – per la Cassazione – natura di usi normativi ma solo pattizia, nel senso di essere mere proposte di condizioni generali di contratto, indirizzate dall’associazione di categoria ai singoli associati. La conseguenza di questo cambio di prospettiva è stata importantissima: poiché la capitalizzazione trimestrale (cioè l’anatocismo) non si poteva più ritenere basata su di un uso normativo, le clausole contrattuali che la prevedevano sono diventate nulle, non potendo le Norme Bancarie Uniformi derogare l’art. 1283 Cod. civ.
Gli interventi successivi del legislatore.
Le pronunce del 1999 erano in grado di aprire la strada ad un contenzioso bancario potenzialmente illimitato, stante l’enorme numero di contratti pendenti che – da un giorno ad un altro – presentavano un saldo contabile reso potenzialmente illegittimo dal calcolo di interessi anatocistici. Per questo, con il D.Lgs. n. 432/1999 è stata disposta – intervenendo sull’art. 120 del T.U.B. – la validità delle clausole anatocistiche pattuite fino a quel momento, nonché la previsione che, per il futuro, le modalità dell’anatocismo fossero determinate con regolamento del C.I.C.R. Ed ecco che, con la delibera del 9 febbraio 2000, il C.I.C.R. ha stabilito la possibilità per le banche di prevedere una capitalizzazione degli interessi anche infrannuale, purché: sia la medesima per gli interessi a debito e a credito; sia prevista contrattualmente ed approvata per iscritto dal risparmiatore. La delibera stabiliva anche tempi e modi con i quali i contratti pendenti che prevedevano clausole anatocistiche si sarebbero dovuti adeguare alla nuova disciplina.
Tuttavia la Corte costituzionale, con la sentenza n. 425/2000, ha dichiarato incostituzionale per eccesso di delega la norma del D.Lgs. n. 432/1999 che consentiva, in attesa della delibera attuativa del C.I.C.R., una validazione retroattiva e transitoria delle clausole anatocistiche presenti nei vecchi contratti bancari. Ne è conseguito un vero e proprio spartiacque ad opera della delibera C.I.C.R.: prima di essa ai contratti bancari pendenti si doveva applicare l’art. 1283 Cod. civ., per cui tutte le clausole anatocistiche ivi previste dovevano essere ritenute nulle; dopo la delibera, entrata in vigore il 22 aprile 2000, le clausole anatocistiche erano ritenute valide nei termini sopra ricordati e salva la possibilità di adeguamento dei contratti pendenti con modalità e tempi previsti dalla delibera stessa (e non esenti da molti dubbi interpretativi).
La legge di stabilità 2014.
Con lo scopo di stabilire un più ampio divieto di anatocismo in ambito bancario, il legislatore è successivamente intervenuto con la Legge di stabilità 2014 (L. n. 147/2013), modificando ancora l’art. 120 T.U.B. La riforma, nel continuare a demandare alla fonte regolamentare del C.I.C.R. la disciplina specifica delle modalità di produzione degli interessi nelle operazioni bancarie, aveva operato una certa confusione terminologica, pur con lo scopo dichiarato di porre fine al fenomeno dell’anatocismo. Da un lato, infatti, era stata prevista la medesima periodicità nella contabilizzazione e nella liquidazione degli interessi, mentre dall’altro la disposizione continuava a parlare – in modo improprio secondo molti – di capitalizzazione. A ciò si aggiunga che il successivo D.L. n. 91/2014 (Decreto competitività) aveva nuovamente modificato l’art. 120 T.U.B., reintroducendo espressamente la possibilità di capitalizzare gli interessi. Previsione che poi non ha resistito in sede di conversione del Decreto (L. n. 116/2014), all’esito di polemiche politiche che hanno avuto un certo risalto anche sulla stampa nazionale.
A fronte di quella che appariva come la volontà politica di eliminare l’anatocismo bancario, pur a fronte di un testo che continuava a menzionare – seppur impropriamente, a detta degli interpreti – la capitalizzazione degli interessi, rimaneva in vigore una fonte di attuazione regolamentare non aggiornata, e cioè la vecchia delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000. Da ciò è derivata un’importante divergenza interpretativa tra la giurisprudenza maggioritaria e una parte della dottrina, supportata dal Consiglio Nazionale del Notariato. La giurisprudenza maggioritaria riteneva che la fonte primaria prevalesse e che pertanto ogni capitalizzazione degli interessi successiva all’entrata in vigore della Legge di stabilità 2014 (1 gennaio 2014) fosse da ritenere illegittima. Parte della dottrina, invece, riteneva che, in attesa della nuova delibera C.I.C.R. attuativa dell’art. 120 T.U.B. riformato, la capitalizzazione degli interessi effettuata nel frattempo fosse da ritenere valida ed efficace.
A fronte di questa significativa incertezza, foriera anche di soluzioni contrastanti a seconda dei vari Tribunali chiamati a pronunciarsi sulle clausole anatocistiche dei contratti bancari, la Banca d’Italia aveva proposto uno schema di delibera da sottoporre al C.I.C.R. Le osservazioni in esso contenute sembrano oggi aver trovato accoglimento con il D.L. 18/2016 e con la delibera n. 343 del 3 agosto 2016 che, si spera, riescano a mettere la parola fine ad anni di indecisioni normative ed interpretative.