Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento dell’Avv. Matteo Pica Alfieri al convegno “Il Contenzioso tra Banca e Cliente: Profili Sostanziali e Processuali”, organizzato da AIGA Sezione di Prato e UGDCEC Prato il 12.12.2019, accreditato da Ordine degli Avvocati e Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Prato
La cartolarizzazione del credito, operazione finanziaria complessa che sembra avulsa dalla quotidianità del contenzioso dei nostri Tribunali, in realtà presenta profili particolarmente problematici e di sicuro interesse. L’irrompere nel rapporto banca-cliente della società di cartolarizzazione – cessionaria del credito dell’intermediario – genera conseguenze sia sulle azioni giudiziarie da intraprendere sia su quelle già in corso; conseguenze che possono dar luogo a questioni di una certa complessità e con significative ricadute sul contenzioso.
Nel corso di questo intervento si cercherà, quindi, di rendere conto del quadro giurisprudenziale attuale, nella consapevolezza che trattasi di tematiche per le quali – ad oggi – non si registrano significative prese di posizione in dottrina. Si cercherà, pertanto, con tutte le cautele del caso, di offrire anche alcuni spunti critici sugli arresti più recenti.
Prima di entrare nel vivo della problematica processuale che ci interessa, ossia la titolarità del rapporto controverso – sia dal lato attivo che da quello passivo – da parte della società veicolo, sono necessari brevi cenni sulle operazioni di cartolarizzazione.
Alcune fondamentali coordinate normative sulle cartolarizzazioni
La cartolarizzazione del credito (securitization nel mondo anglo-sassone, poiché si tratta d’istituto nato negli Stati Uniti negli anni ’70) è una forma di cessione del credito, che rientra nel più ampio genere delle attività di smobilizzo dei crediti da parte d’imprese e banche in particolare.
I riferimenti normativi sono la L. n. 130/1999 e il Reg. UE n. 2017/2402.
Si può definire come un’operazione concepita per smobilizzare una serie di crediti pecuniari (presenti o futuri) di cui sia titolare un’impresa (banca, intermediario finanziario o altra impresa), definita originator, attraverso la loro cessione a titolo oneroso (di regola pro soluto) a favore di un soggetto, denominato società per la cartolarizzazione – o special purpose vehicle (S.P.V.) – il quale provvede (direttamente o tramite una terza società) ad emettere titoli incorporanti i crediti ceduti ed a collocarli sul mercato dei capitali per ricavare la liquidità necessaria a pagare il corrispettivo della cessione e le spese dell’operazione (cfr. per una simile definizione P. Bontempi, Diritto Bancario e Finanziario, Giuffrè 2019).
Il rimborso del capitale ed il pagamento degli interessi convenzionali sui titoli emessi viene garantito agli investitori dall’ammontare complessivo dei crediti ceduti, da ogni altro credito maturato dalla S.P.V. nel contesto dell’operazione, dai relativi incassi (quindi dai pagamenti dei debitori ceduti) e dalla attività finanziarie acquistate con i medesimi titoli.
Per riscuotere i crediti ceduti la S.P.V. può incaricare terzi soggetti, che si occuperanno della riscossione e del servizio di cassa e pagamento (il c.d. servicing), i quali possono essere solo banche o soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 106 D.Lgs. n. 385/1993 (T.u.b.).
Le S.P.V. hanno come oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione e dal 2011 sono iscritte in apposito registro tenuto dalla Banca d’Italia.
Il primo dato da tenere a mente è che tutti i crediti, i flussi finanziari e le attività destinati a garantire gli investitori costituiscono un patrimonio separato, aggredibile solo dai portatori dei titoli derivanti dal processo di cartolarizzazione.
A tal proposito, questi i principali dati normativi della L. n. 130/1999:
Art. 1, primo comma, lett. b): “le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduti [sono] destinate in via esclusiva, dalla società cessionaria, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altra società, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione.”.
Art. 3, secondo comma (introdotto con D.L. n. 91/2014): “I crediti relativi a ciascuna operazione (per tali intendendosi sia i crediti vantati nei confronti del debitore o dei debitori ceduti, sia ogni altro credito maturato dalla società di cui al comma 1 nel contesto dell’operazione), i relativi incassi e le attività finanziarie acquistate con i medesimi costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi.”
Art. 4, secondo comma (introdotto con D.L. n. 145/2013, convertito con modificazioni nella L. n. 9/2014): “Dalla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), e, in deroga ad ogni altra disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data. Dalla stessa data la cessione dei crediti è opponibile: agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi in data anteriore; ai creditori del cedente che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione della cessione.”.
Tale separazione patrimoniale non ha tanto la funzione di limitare la responsabilità della società veicolo, quanto quella di creare un meccanismo di garanzia patrimoniale per i portatori dei titoli emessi, data l’evidente minor solvibilità di una S.P.V. rispetto a una banca. Del resto, come è stato ammesso in dottrina (G. Capaldo, “La novella della legge 130/1999: nuove figure di separazione patrimoniale” in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 2/2019, pag. 376 e ss.), una volta realizzata la cartolarizzazione del credito il rischio d’insolvenza del debitore viene trasferito dalla banca originator al mercato.
Il medesimo art. 4 della L. n. 130/1999 prescrive particolari adempimenti pubblicitari per la cessione, richiamando l’art. 58 T.u.b., secondo, terzo e quarto comma: iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Tali adempimenti pubblicitari, una volta eseguiti, producono per il debitore ceduto gli effetti di cui all’art. 1264 c.c.
Ultimo dato da considerare, prima di approfondire la problematica processuale, riguarda la tipologia dei titoli emessi nello schema base di cartolarizzazione. Essi sono strumenti finanziari a tutti gli effetti, soggetti al D.Lgs. n. 58/1998 (T.u.f.) e a rating di agenzie specializzate, e possono essere offerti a investitori professionali e non (cfr. art. 2 L. n. 130/1999).
Questi titoli possono avere diversa categoria di rischio (dividersi dunque in senior e junior) ma appartengono comunque al novero degli A.B.S. (acronimo di asset backed securities), emessi con la clausola in base alla quale il pagamento degli interessi ed il rimborso del finanziamento potrà avvenire solo a condizione che abbia luogo l’incasso degli asset acquistati dall’originator (c.d. clausola limited recourse).
Negli ultimi anni vi sono poi state una serie di riforme, che hanno previsto la possibilità di realizzare operazioni di cartolarizzazione con modalità che rappresentano una deviazione dallo schema base descritto in apertura. Tali novelle, che hanno sostanzialmente trasformato la cartolarizzazione nel principale strumento con il quale le banche cedono i propri crediti deteriorati, possono essere accennate come di seguito, giusto per dare idea dell’ampiezza e della complessità dell’istituto.
Gli artt. 7-bis, 7-ter (aggiunti con D.L. n. 35/2005 e più volte modificati) e 7-quater (aggiunto con D.L. n. 145/2013, convertito con modificazioni nella L. n. 9/2014) della L. n. 130/1999 hanno introdotto una disciplina incentivante per cartolarizzazione di attivi di elevata qualità creditizia (crediti fondiari, verso le p.a., ipotecari, ecc.). Al fine di agevolare l’operazione e di contenere i costi di acquisto dei crediti, è prevista la possibilità che la S.P.V. ottenga un finanziamento concesso o garantito dalla banca cedente, destinato a fornirle i mezzi per acquistare le attività ed il cui rimborso resta subordinato al pagamento delle obbligazioni derivanti dalle operazioni di cartolarizzazione. In quest’ipotesi, infatti, l’emissione dei titoli avviene da parte della stessa banca cedente (o da parte di altre banche), dando luogo a covered bonds, maggiormente garantiti degli A.B.S. emessi dalle S.P.V.
Il D.L. n. 18/2016 (convertito in L. n. 49/2016) ha poi introdotto una garanzia statale a titolo oneroso (le banche pagano una commissione sul garantito, altrimenti saremmo in presenza di aiuto di Stato) su cartolarizzazioni dei crediti in sofferenza, rinnovata dal D.L. n. 22/2019 per altri due anni. La GA.C.S. (acronimo di GAranzia sulle Cartolarizzazioni delle Sofferenze) interviene su cessioni di sofferenze per garantire il pagamento dei titoli senior (meno rischiosi rispetto ai junior) aventi un rating non inferiore all’investment grade (BBB-). Nei casi in cui opera la garanzia, il servicer deve essere soggetto diverso dalla S.P.V. e non appartenente al medesimo gruppo bancario.
Infine, in materia di crediti deteriorati è interessante segnalare il D.L. n. 50/2017 (convertito con modificazioni nella L. n. 96/2017) che ha introdotto gli artt. 7.1 e 7.2 nella L. n. 130/1999, finalizzati a disciplinare le cessioni di questa categoria di crediti. Fra le altre cose, è prevista la possibilità per le S.P.V. di erogare finanziamenti ai debitori ceduti (in ottica di risanamento aziendale), superando il divieto esistente per le banche di fare credito a soggetti in sofferenza. Viene inoltre introdotta la possibilità di creare società ad hoc (una sorta di S.P.V.2) per la gestione degli immobili a garanzia di crediti cartolarizzati, al fine di utilizzare il ricavato della gestione a beneficio dei portatori dei titoli. Sono state poi introdotte disposizioni sulle cartolarizzazioni immobiliari e sui leasing.
Si tratta, dunque, di un istituto il cui utilizzo è aumentato negli ultimi anni e destinato a crescere con le esigenze che stanno alla base delle cessioni di crediti deteriorati. Per dare un’idea della dimensione di quest’ultimo fenomeno, a settembre 2017 erano stimati 189 miliardi di Euro di N.P.L. (non performing loans, ossia le sofferenze), 102 miliardi di Euro di U.T.P. (unlikely to pay, ossia i c.d. incagli) e 6 miliardi di Euro di past due (i crediti scaduti). Sul punto, per chi volesse approfondire, rimando al documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e della Fondazione Nazionale Commercialisti dal titolo “Non Performing Loans – NPL” del luglio 2019, reperibile on-line.
La complessa operazione finanziaria fin qui descritta finisce per lasciare in secondo piano il debitore ceduto, che in realtà rappresenta il fulcro per il corretto funzionamento del sistema. Infatti, è dall’adempimento del ceduto (o comunque dal recupero del credito nei suoi confronti) che dipende la redditività dell’operazione e la possibilità di rimborsare i titoli emessi dalla S.P.V., la quale dovrà quindi provvedere – di regola tramite il suo servicer – a intraprendere le azioni opportune (decreti ingiuntivi, pignoramenti) o a intervenire nelle medesime azioni già avviate dalla banca cedente.
È a questo punto che si possono porre i problemi cui accennavo in apertura. Per una loro migliore esposizione, dovremo porci nelle vesti del debitore ceduto, in particolare in quelle di un mutuatario inadempiente.
Il lato attivo del rapporto controverso
Poniamo che il debitore, di cui abbiamo assunto le vesti, sia destinatario per la prima volta di atti processuali da parte di una S.P.V. (ma analogo è il caso in cui la S.P.V. intervenga in giudizio facendo proprie le domande della banca originator). La prima questione da porsi è se effettivamente la società veicolo sia titolare del credito per cui essa agisce (di regola tramite il suo servicer).
Si tratta della questione della legittimazione attiva (termine qui usato in senso atecnico, vedremo in seguito perché), che il debitore può legittimamente contestare ad un soggetto che si dichiara creditore in forza di un’operazione di cessione.
Abbiamo appena ricordato, però, che l’art. 4 della L. n. 130/1999 – che richiama a sua volta i commi secondo, terzo e quarto dell’art. 58 T.u.b. – prevede che l’iscrizione nel registro delle imprese e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’estratto della cessione valgano come notifica al debitore ceduto. Dunque, il meccanismo pubblicitario crea in capo al debitore (e ai terzi) una conoscenza legale della cessione, apparentemente non contestabile se non con difese inutilmente dilatorie.
Il problema è che gli estratti di cessione pubblicati in Gazzetta Ufficiale, nella quasi totalità dei casi, riportano solo criteri generali con cui identificare i singoli crediti ceduti (che, del resto, vengono ceduti in blocco). Questi criteri talvolta rasentano la difficile comprensione, tanto sono ermetici o poco chiari. Posso ricordare, a tal proposito, una Gazzetta Ufficiale di un anno fa, in cui la S.P.V. dava atto di aver concluso con una serie di banche (elencate nell’arco di una pagina e mezzo) ben 73 (!) contratti di cessione di crediti “che siano stati individuati nel documento di identificazione dei crediti allegato al rispettivo Contratto di Cessione e che siano vantati verso debitori classificati a sofferenza […]. In particolare, i crediti derivano dalla seguente tipologia di rapporti: (i) finanziamenti (incluse aperture di credito) sorti nel periodo tra maggio 1965 e marzo 2018 e/o (ii) crediti di firma vantati verso i medesimi debitori dei finanziamenti. In particolare è stata oggetto di cessione l’intera posizione debitoria dei debitori ceduti esistente verso la relativa Banca Cedente alla Data di Stipulazione ad eccezione delle posizioni debitorie corrispondenti ai seguenti NDG”. Seguono tre soli numeri di NDG e nient’altro. Pare davvero possibile individuare con precisione un credito ceduto sulla base di queste sole indicazioni? Mi permetterei di dire di no.
Prima di scendere nel dettaglio e vedere se la mia modesta opinione trovi un minimo di sostegno in giurisprudenza, è necessario aprire una parentesi sulla tipologia di difesa che il debitore svolge nel momento in cui sostiene che la società veicolo non è legittimata attiva, o comunque che non è titolare del credito. Le due questioni, infatti, non sono identiche, anche se spesso i concetti di legittimazione attiva e passiva vengono usati in senso più ampio.
La legittimazione ad agire o contraddire integra una questione di rito, mentre la titolarità dal lato attivo o passivo del rapporto controverso è questione di merito, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini processuali e che in questa sede non possiamo approfondire.
Sul punto mi sia consentito rimandare – oltre che alla tradizionale manualistica di diritto processuale civile – all’ampia trattazione svolta da Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 2951/2016. In questa pronuncia, la Corte ripercorre la distinzione tra legittimazione attiva e titolarità del rapporto controverso, sottolineando come la mancanza della prima possa ricavarsi dalla prospettazione fatta nella domanda di parte attrice. Poiché è assai raro che colui che intraprende un giudizio non si prospetti astrattamente titolare del diritto per il quale agisce, la questione di legittimazione attiva ha una portata residuale, vertendosi negli altri casi in ambito di titolarità del rapporto, e dunque in un problema di merito, da decidere in sentenza.
Le Sezioni Unite, in detta sentenza, affermano tre importanti principi di diritto:
1) “La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto.”
2) “Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.”;
3) “La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa.”.
Se ne deduce che il debitore, il quale contesti la titolarità del credito della S.P.V., solleva questione preliminare di merito, onerando così la società veicolo di fornire la prova della titolarità del rapporto obbligatorio dal lato attivo.
Ecco che, ragionando in base a detti principi, numerose sentenze hanno ritenuto che l’estratto pubblicato in Gazzetta Ufficiale – proprio per le caratteristiche sottolineate supra – non possa da solo essere sufficiente ad integrare la prova richiesta in capo alla cessionaria del credito, che per dimostrare di essere titolare del rapporto dovrà produrre in giudizio anche il contratto di cessione, da cui si possa ricavare che lo specifico credito per il quale essa agisce è stato effettivamente ed inequivocabilmente cartolarizzato.
Eventualmente, le sentenze che hanno esaminato la questione ritengono che la prova possa essere raggiunta anche in assenza di contratto di cessione, ma solo se la società veicolo dimostra che il singolo credito rientra in tutti i criteri indicati nell’estratto di cessione, pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Una prova che, dato il tenore delle pubblicazioni che sopra abbiamo riportato ad esempio, spesso appare assai ardua da fornire.
Qualora tale onere non sia adempiuto, la domanda viene respinta nel merito, e diverrà particolarmente complicato per la S.P.V., viste le preclusioni istruttorie e la rilevabilità d’ufficio allo stato degli atti, dimostrare la titolarità del credito nei successivi gradi di giudizio.
Fondamentale sul punto Cass. civ., Sez. I, sent. n. 4453/2018, che estende i principi delle Sezioni Unite del 2016 alle opposizioni a stato passivo promosse dalle società veicolo di cartolarizzazione, giungendo alle conclusioni appena ricordate.
Si tratta di un orientamento nell’ambito del quale si colloca anche Cass. civ., Sez. II, sent. n. 9768/2016, in materia di cessione di credito in generale, che già aveva affermato che “il cessionario che agisca per ottenere l’adempimento del debitore è tenuto a dare la prova del negozio di cessione, quale atto produttivo di effetti traslativi” seppur non “anche a dimostrare la causa della cessione o il corrispettivo per essa pattuito”.
In materia di cessioni di credito in blocco, si segnalano poi Cass. civ., Sez. I, sent. n. 4116/2016 e Cass. civ. Sez. I, sent. n. 10518/2016, secondo le quali la società cessionaria di crediti in blocco che intenda costituirsi in giudizi in corso – anche di legittimità – “di fronte alla contestazione della controparte, ha l’onere di produrre, anche successivamente al deposito del ricorso stesso, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., i documenti idonei a dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco D. Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 58 dovendo fornire la prova documentale della propria legittimazione, a meno che la controparte non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta”. Se ciò non avviene, la cessionaria è ritenuta soggetto non legittimato a stare in giudizio.
Interessante, in senso analogo, Cass. civ., Sez. III, sent. n. 22268/2018, secondo la quale “Non può non rilevarsi che il giudice d’appello ha affermato che la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma che se non individua il contenuto del contratto di cessione non prova l’esistenza di quest’ultima. Tale rilievo è condivisibile, giacché una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini della efficacia della cessione – un’altra la prova della esistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto. La questione si sposta allora, in ultima analisi, sulla valutazione probatoria, valutazione che è riservata al giudice di merito.”.
Ancora in senso analogo si vedano, nella giurisprudenza di merito:
Trib. Benevento, sent. 7.08.2018 (in http://www.ilcaso.it), che richiede il deposito dell’atto di cessione;
Trib. Treviso, decr. 28.04.2016 (in http://www.ilcaso.it), per cui senza contratto e senza rispondenza delle caratteristiche del credito ceduto ai criteri in Gazzetta Ufficiale non vi è prova della cessione;
Trib. Padova, decr. 3.06.2016 (sempre in http://www.ilcaso.it), che applica i medesimi principi in un caso di partecipazione della società cessionaria al voto nel concordato preventivo, escludendo, però, che la rispondenza delle caratteristiche del credito ai criteri pubblicati in Gazzetta Ufficiale sia sufficiente per la prova della titolarità;
Trib. Napoli, sent. 24.05.2019, n. 5377 (in http://www.dirittobancario.it), che esclude la sufficienza della pubblicazione della cessione in apposito sito internet e che, in caso di tempestiva contestazione sull’inclusione del credito controverso nell’ambito dei rapporti bancari ceduti ex art. 58 T.u.b., nonché di omessa specificazione, nell’allegato annuncio di cessione, dei criteri in base ai quali sono stati selezionati gli stessi crediti ceduti, non è possibile stabilire se il credito sia di titolarità della cessionaria.
Si registrano poi, sempre nell’ambito di quali documenti siano sufficienti a provare l’avvenuta cessione dello specifico credito per il quale la S.P.V. agisce, alcune variazioni sul tema.
Ad esempio, il Tribunale di Prato (dott.ssa Brogi), ritiene che la Gazzetta Ufficiale non sia da sola sufficiente e che la prova dell’avvenuta cessione possa essere fornita solo con la produzione del contratto di cessione o, in alternativa, con una dichiarazione scritta e dettagliata firmata dalla cedente, nella quale si dia atto della cartolarizzazione di quella specifica posizione debitoria.
Infine, di recente la Corte di Cassazione ha addirittura richiesto la produzione in giudizio del contratto di cessione in originale (in questione che coinvolgeva operazioni internazionali): Cass. civ., Sez. III, ord. 2780/2019. Quest’ultima decisione mi pare quasi eccessiva, dato che riterrei che la S.P.V. debba produrre l’originale del contratto di cessione, o una copia con autentica notarile, solo nei casi di contestazione ex art. 2712 c.c.
Ciò detto, si potrebbe obiettare che la contestazione formulata dal debitore ceduto sulla legittimazione attiva (o meglio sulla titolarità del rapporto dal lato attivo) abbia scarso respiro, dato che la cessionaria potrà, almeno fino al termine per il deposito della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2 c.p.c., neutralizzarla con la produzione del contratto di cessione.
Tuttavia, accade sovente che il contratto di cessione non venga prodotto – o, almeno, che non venga prodotto nelle fasi iniziali del processo – né dalla società veicolo né dal suo servicer. Cosicché, dal punto di vista del debitore, una simile difesa può apparire di una qualche utilità, soprattutto laddove si tratti di chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva di un titolo o di un precetto. Ricordiamo poi che, se la prova non viene fornita nel corso del processo, si avrà una sentenza di rigetto nel merito, idonea a produrre autorità di cosa giudicata sulla titolarità o meno del credito (prima ancora di discutere dell’an e del quantum).
Devo a questo punto segnalare, però, che l’orientamento rigoroso in ambito probatorio fin qui esaminato sta recentemente entrando in crisi, anche se forse si tratta di una crisi soltanto apparente.
Alcune pronunce recenti, infatti, fanno leva sulla lettera dell’art. 4 della L. n. 130/1999, che richiama l’art. 58 T.u.b., per ritenere che la prova della titolarità del credito sia compiutamente fornita solo con la produzione in giudizio dell’estratto della Gazzetta Ufficiale. Si tratta in particolare di:
Trib. Cuneo, sent. 11.05.2018, n. 387 (in http://iusletter.com), che richiama il mero dato testuale dell’art. 4 L. n. 130/1999 e ritiene sufficiente la Gazzetta Ufficiale, in un caso in cui, però, agli atti era stato anche prodotto il contratto di cessione;
Trib. Pavia, sent. 1.02.2019, n. 184 (in http://iusletter.com), secondo cui la normativa non prevede l’indicazione specifica nell’avviso di cessione e, quindi, in materia di cartolarizzazioni non sarebbe necessaria né la notifica al debitore, né l’individuazione del singolo rapporto di credito in base ai criteri pubblicati in Gazzetta Ufficiale;
Trib. Ragusa, sent. 18.01.2019 n. 68 (citata per estratto in http://intrumlaw.it), per cui gli adempimenti pubblicitari previsti dalla normativa speciale sono sufficienti per la prova della titolarità del rapporto, ma “allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentono di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione”.
Quest’ultima sentenza citata riprende un orientamento della Corte di Cassazione, che ha recentemente avuto modo di affermare: “In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione.” (cfr. Cass. civ., Sez. III, sentt. n. 15884/2019 e n. 17110/2019, che richiamano a loro volta Cass. civ., Sez. V, sent. n. 31118/2017).
Segnalo, infine, una recente ordinanza in materia di cessione di azienda (Cass. civ., Sez. I, ord. 23723/2019). In un caso d’impugnazione di una sentenza da parte di un cessionario, la Corte ha riconosciuto la legittimazione ad impugnare di detto soggetto se allega “il titolo che gli consenta di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell’intestazione dell’impugnazione qualora il titolo sia di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile, e sia rimasto del tutto incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte”. La Corte in questo caso ha ritenuto l’eccezione del debitore meramente apodittica, essendo “fondata sul mero rilievo dell’omessa produzione dell’atto di cessione del ramo di azienda.”.
Ciò detto, personalmente ritengo che il contrasto con le pronunce che giudicano insufficiente – ai fini della prova della titolarità del rapporto controverso – la produzione della Gazzetta Ufficiale sia soltanto apparente.
A mio modesto avviso, infatti, ritenere che l’estratto della cessione sia bastevole quando “gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentono di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione” non muta la questione. Il piano su cui si muove la valutazione del Giudice è quello dell’onere della prova: sarà lui a dover valutare caso per caso quali siano gli elementi in grado di fondare il suo convincimento in merito alla titolarità del credito in capo alla società veicolo (estratto G.U. se dettagliato; rispondenza delle caratteristiche del credito ai criteri della G.U.; contratto di cessione, in originale o meno).
Viceversa, ritenere sufficiente la produzione in giudizio della Gazzetta Ufficiale senza alcuna riserva, o addirittura ritenere che quando la cessione è contenuta in un titolo di natura pubblica essa sia “accertabile” e dunque sia sufficiente menzionarla nell’atto processuale, mi pare porti a una sovrapposizione di piani (quello dell’efficacia – comunque diverso da quello del perfezionamento della cessione – e quello della prova della titolarità del credito) non del tutto corretta.
Come ritenuto, infatti, dalla sopra citata Cass. civ., Sez. III, sent. n. 22268/2018, una cosa è l’efficacia della cessione rispetto al debitore ceduto – per il quale è sufficiente dare prova di aver pubblicato l’avviso in Gazzetta Ufficiale – un’altra è la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto, che deve essere fornita da chi agisca in giudizio. Quest’ultimo aspetto dovrà essere oggetto di valutazione caso per caso da parte del giudice di merito.
Il lato passivo del rapporto controverso
Esaminiamo adesso la questione della legittimazione passiva della società veicolo, o meglio la titolarità del rapporto obbligatorio controverso dal lato passivo. La questione si pone ogni volta che il debitore ceduto intenda agire per il recupero di somme indebitamente versate, o nei casi in cui si opponga alle pretese della cessionaria con eccezioni o domande riconvenzionali, siano esse di ripetizione d’indebito o di accertamento negativo, dunque finalizzate ad accertare l’esistenza di un contro-credito da portare in compensazione con quello della società veicolo.
Come emerso nel corso degli interventi degli altri relatori, molte possono essere le criticità nei rapporti banca-cliente, la maggior parte riconducibili alla nullità di clausole contrattuali.
Sulla possibilità che il debitore possa formulare eccezioni, finalizzate a paralizzare la pretesa della S.P.V., o domande riconvenzionali, fino allo scorso agosto si fronteggiavano nei Tribunali italiani due orientamenti opposti (più un terzo che in realtà costituisce specificazione del secondo).
1) Un primo orientamento – tradizionalmente ritenuto minoritario – sostiene che la S.P.V. non possa essere destinataria di eccezioni formulate dal ceduto e fondate sul rapporto da questi intrattenuto con la banca cedente, né tantomeno di domande riconvenzionali di ripetizione d’indebito. Ciò essenzialmente in base alle seguenti motivazioni, che riporto sinteticamente:
– l’art. 4 della L. n. 130/1999 non richiama il quinto comma dell’art. 58 T.u.b. (per cui “I creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva.”). Ciò starebbe a significare la possibilità, per il debitore ceduto che si assumesse creditore di somme indebitamente versate, di poter rivolgere la propria pretesa nei confronti del cedente anche decorsi i tre mesi previsti da detta disposizione;
– la cartolarizzazione è operazione di cessione del credito, non del contratto, per cui alla cessionaria viene trasferito solo il lato attivo delle obbligazioni, non potendo farsi valere nei suoi confronti eccezioni fondate su rapporti contrattuali intercorsi tra originator e ceduto. Anche per questo motivo, non sarebbe applicabile il quinto comma dell’art. 58 T.u.b., posto che la norma è riferibile a cessioni di interi rapporti;
– la sostituzione del cessionario al cedente nell’ambito dell’art. 58 T.u.b. sarebbe giustificata dalla solvibilità delle banche, che è ben superiore a quella delle S.P.V. Sostituzione dunque non possibile nelle operazioni di cartolarizzazione.
Appartengono a questo filone le seguenti sentenze delle corti di merito:
Trib. S.M. Capua Vetere, sent. 21.05.2018, n. 1742 (in http://www.expartecreditoris.it), che insiste sulla non applicabilità dell’art. 58, quinto comma, T.u.b., salvo poi ritenere la questione sulla legittimazione assorbita dalla manifesta infondatezza della domanda nel merito;
Trib. Monza, sent. 5.06.2017, n. 1761 (in banca dati DeJure), che motiva in modo identico, sempre con riferimento alla non applicabilità del quinto comma dell’art. 58 T.u.b. e al fatto che le censure basate su nullità contrattuali debbano essere indirizzate alla cedente, poiché non si ha cessione del contratto;
A.B.F. Milano, dec. n. 8884 del 1.12.2015, che ripresenta le solite argomentazioni e poi ritiene assorbita la questione di legittimazione passiva per manifesta infondatezza nel merito;
Trib. Palermo, Sez. distaccata Bagheria, sent. 4.11.2008 (in http://www.ilcaso.it), in cui, prima ancora della mancata applicabilità del quinto comma suddetto, si valorizza la mancata cessione del contratto, ritenendo che nulla sia previsto, nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale, in merito ai debiti del cedente.
2) Viceversa, l’orientamento giurisprudenziale tradizionalmente ritenuto maggioritario ritiene che, in forza del contratto di cessione di crediti in blocco, la S.P.V. acquisti dalla società cedente la titolarità di tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni e quant’altro) derivanti dal contratto di finanziamento ceduto e succeda a titolo particolare in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi già di titolarità dell’originator. Le sentenze che appartengono a quest’orientamento, fermi i continui rimandi l’una all’altra, fondano la propria decisione sul richiamo ad alcune pronunce di legittimità relative alla cessione di azienda bancaria, di cui all’art. 58 T.u.b. (applicato indistintamente, incluso il discusso quinto comma di cui sopra).
La Corte di Cassazione aveva, infatti, più volte chiarito che “la norma di cui all’art. 58 del testo unico delle leggi in materia bancaria (come già, in precedenza, l’art. 54 r.D.L. 12 marzo 1936, n. 375) prevedendo il trasferimento delle passività al soggetto cessionario della azienda bancaria e non la semplice aggiunta della responsabilità di questo ultimo a quella del cedente, deroga alla norma codicistica di cui all’art. 2560, comma 2 c.c., sulla quale, dunque, prevale in virtù del principio di specialità. Quindi, dal semplice fatto della cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicazione prevista dal comma 2 del ricordato art. 58, deriva, pertanto, il trasferimento al cessionario dei debiti e crediti della cedente compresi nella cessione stessa” (cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 18258/2014; Cass. civ., Sez. II, sent. n. 22199/2010; Cass. civ., Sez. I, sent. n. 10653/2010).
Sul punto mi permetto anche di segnalare Cass. civ., Sez. I, sent. n. 12194/2012 che ha pacificamente ammesso, nelle cessioni ex art. 58 T.u.b., la legittimazione passiva del cessionario nelle domande di ripetizione d’indebito.
Vi è poi un’altra argomentazione a sostegno di questa posizione giurisprudenziale, che mi riservo di esaminare più avanti.
L’orientamento appena illustrato, in conclusione, ritiene che se il debitore chiede l’accertamento di un credito, strumentale alla restituzione delle somme indebitamente percepite in ragione del contratto stipulato con la banca, sia insussistente la legittimazione passiva dell’originator, per essere unica legittimata passiva la società cessionaria.
Queste le sentenze tradizionalmente ricondotte a detta posizione:
Trib. Milano, sent. 12.01.2016, n. 336 (in http://www.expartecreditoris.it), che però si è occupata di una cessione di un ramo d’azienda bancario, con successiva fusione per incorporazione;
Trib. Pavia, sent. 12.10.2016, n. 1408 (in http://www.ilcaso.it), che esclude la legittimazione passiva della banca cedente nelle domande di accertamento negativo del credito da parte del debitore ceduto, con motivazione peraltro piuttosto sintetica;
Trib. Catania, sent. 19.03.2018 (in banca dati Pluris), che esclude la legittimazione passiva della banca cedente per essere unica legittimata la cessionaria, richiamando la giurisprudenza di Cassazione da ultimo ricordata;
Trib. Catania, sent. 30.08.2019, n. 3549 (in banca dati DeJure), che motiva in senso analogo, in un caso in cui tuttavia il giudice aveva inizialmente autorizzato la chiamata in causa della banca cedente.
Si trovano poi citate più volte, in giurisprudenza, a sostegno di quest’orientamento anche le seguenti pronunce:
Trib. Napoli Nord, sent. 10.11.2016;
Trib. Rieti, sent. 18.04.2017.
3) In argomento, è possibile inoltre rivenire un terzo orientamento, che sostanzialmente ritiene che – nei casi di domanda di ripetizione d’indebito da parte del debitore ceduto – la legittimazione passiva (o meglio, la titolarità del rapporto obbligatorio) debba essere rinvenuta nel soggetto che ha percepito le somme che si assumono non dovute.
Si tratta di una posizione assunta da Trib. Napoli Nord, sent. 26.02.2018, n. 563 (in http://www.expartecreditoris.it) e soprattutto dal Collegio di Coordinamento A.B.F. con la dec. n. 6816 del 27.03.2018.
Quest’ultima decisione presenta un’ampia motivazione ed esamina la questione del diritto alla ripetizione d’indebito, che il Collegio ritiene sorgere solo quando il finanziamento è estinto (dunque l’A.B.F. non si occupa di eventuali azioni di accertamento di contro-crediti in compensazione), per giungere alla seguente conclusione: “Se dunque è la SPV a ricevere il pagamento, legittimata passiva all’azione è esclusivamente quest’ultima.”
Per giungere alle sue conclusioni, l’A.B.F. sviluppa argomenti volti a smentire la tesi della giurisprudenza minoritaria, ridimensionando il valore del mancato richiamo al quinto comma dell’art. 58 T.u.b. da parte dell’art. 4 della L. n. 130/1999. Rimandando alla lettura della decisione, mi permetto di richiamare in questa sede i seguenti argomenti:
– la mancanza del quinto comma dell’art. 58 T.u.b. nel richiamo operato dall’art. 4 L. n. 130/1999, può essere interpretata anche in segno opposto a quanto operato da alcuni Tribunali. Si può, infatti, sostenere che, diversamente da quanto avviene nelle ipotesi di cessioni di crediti in blocco, conseguenti a trasferimenti d’azienda o di singoli rami, in cui seppur per un periodo di tempo limitato continua a sussistere la responsabilità del cedente, eccezionale e quindi limitata nel tempo, negli altri casi (tra cui anche le cartolarizzazioni), tale responsabilità resta fin dall’inizio esclusa. La cessionaria può quindi ben essere destinataria di domande da parte del ceduto;
– essendo il mutuo un contratto non sinallagmatico, la sua cessione al terzo non è sussumibile al modello generale di cessione del contratto descritto nell’art. 1406 c.c., essendo quella del mutuatario, restitutoria del capitale e solutoria degli interessi, l’unica obbligazione riconducibile al coefficiente causale del contratto, con la conseguente difficoltà, in concreto, di distinguere tra cessione del credito (al capitale e agli interessi) e cessione del contratto;
– priva di rilevo sarebbe, poi, la tesi della maggiore solvibilità della banca rispetto alla S.P.V., che giustificherebbe la mancata sostituzione della cessionaria alla cedente che invece è operata dall’art. 58 T.u.b.. Secondo l’A.B.F., da un lato la circostanza che una S.P.V. non sia solvibile è tutta da dimostrare e, dall’altro, il legislatore avrebbe potuto soddisfare questa esigenza mantenendo espressamente in capo al cedente, in ipotesi di cartolarizzazione, ogni responsabilità relativa alla esecuzione del rapporto oggetto di cessione.
Il ragionamento dell’A.B.F. è, però, ben più articolato, basandosi sul fatto che il diritto alla ripetizione dell’indebito di somme pagate in base ad un contratto di mutuo – secondo il Collegio – sorge solo quando il finanziamento è estinto. Per questo, a maggior ragione, il mancato richiamo al quinto comma dell’art. 58 T.u.b. viene ritenuto un falso problema, facendo esso riferimento ai “creditori ceduti”. Nei casi analoghi a quello oggetto della decisione A.B.F., il soggetto finanziato non sarebbe, al momento della cessione, creditore della prestazione per cui agisce, ossia dell’indebito. Perciò, ne ricava il Collegio, per effetto della cartolarizzazione non vi sarebbe alcuna successione del cessionario al cedente rispetto al debito (originato dal fatto dell’estinzione del mutuo) nei confronti del contraente ceduto, in quanto ancora non sarebbe sorta la relativa posizione creditoria di quest’ultimo, e pertanto essa non sarebbe suscettibile di cessione.
Al tempo stesso, la differenza tra cessione di credito e cessione del contratto viene svuotata di significato, posto che, nel ragionamento del Collegio, il fatto-fonte del credito restitutorio non è il contratto, bensì il fatto del pagamento da parte del mutuatario delle somme richieste al momento dell’estinzione del finanziamento. Fonte del credito del mutuatario è pertanto l’indebito, e, di conseguenza, debitore della prestazione restitutoria è chi ha ricevuto il pagamento, nel caso di specie la società veicolo.
Pochi mesi fa, il 30.08.2019, è infine intervenuta Cass. civ., Sez. III, sent. n. 21843/2019, prima – e ad oggi unica – sentenza di legittimità a decidere su di una questione di legittimazione passiva della società veicolo. Una decisione potenzialmente in grado di mutare il quadro giurisprudenziale fin qui delineato.
La Corte ha deciso un caso di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui era avvenuta un’operazione di cartolarizzazione in corso di causa, con successiva costituzione in giudizio della società veicolo.
Dopo aver ripercorso in maniera analitica le posizioni della giurisprudenza di merito ritenuta maggioritaria, e aver citato le relative sentenze, la Suprema Corte ha ritenuto di non poter condividere tale orientamento. La S.P.V. non è stata dunque ritenuta titolare del rapporto obbligatorio dal lato passivo (il ceduto nella sua opposizione a d.i. aveva formulato censure in materia di anatocismo), e la domanda del debitore è stata respinta, con conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Partendo dal presupposto che, come ricordato dalle Sezioni Unite del 2016, anche il problema della legittimazione passiva della società veicolo sia in realtà questione di merito, la Cassazione ha fondato la sua motivazione sul dato testuale degli artt. 1, lett. b) e 4, secondo comma, della L. n. 130/1999, argomentando sulla realizzazione, nelle operazioni di cartolarizzazione, di un patrimonio separato.
Affermando che in caso di cartolarizzazione si ha cessione del credito e non del contratto, e che argomentare in punto di deroga all’art. 2560 c.c. realizzi solo una confusione dei piani, la pronuncia in commento afferma l’impossibilità per il debitore ceduto di “opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall’essere noto alla “società veicolo” al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente), […] addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel “patrimonio separato a destinazione vincolata” di cui si diceva, “scaricandone”, così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva, il valore del medesimo.”.
Per la Suprema Corte, dunque, il patrimonio delle S.P.V. sarebbe unicamente destinato al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti medesimi. Da ciò l’affermazione sopra riportata, secondo la quale il ceduto non può opporre al cessionario in compensazione contro-crediti vantati verso il cedente.
Il tutto perché i possessori dei titoli possono essere solo soggetti al “rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.” Da ciò la conclusione per cui è possibile ammettere in compensazione con il credito vantato dalla cessionaria solo i contro-crediti del ceduto che abbiano i requisiti per la compensazione legale.
Al momento non è possibile prevedere l’andamento della giurisprudenza sul punto. Certo è che questo arresto della Cassazione rappresenta un precedente autorevole, essendo il primo ad essersi occupato specificamente della posizione processuale della società veicolo dal lato passivo.
Tuttavia, mi sia consentito di cercare di offrire alcuni spunti di riflessione in chiave critica alla motivazione della Cassazione; spunti che originano da un certo senso d’ingiustizia per la posizione del debitore ceduto, dal cui punto di vista è stata compiuta tutta questa esposizione. Questi è, infatti, soggetto che rimane estraneo all’operazione di cartolarizzazione ma che – nel ragionamento della Corte – finisce per vedere fortemente limitato il proprio diritto di difesa, anche in controversie già iniziate. L’ingiustizia mi sembra tanto più palese in quanto la posizione processuale del ceduto viene sacrificata ritenendo prevalente l’interesse dei titolari degli strumenti finanziari emessi dalla S.P.V., che abbiamo visto in apertura essere comunque soggetti – di regola – al rischio della perdita integrale del capitale investito.
Ciò detto, mi pare che – per quanto specifica – un’operazione di cartolarizzazione si inserisca inevitabilmente nelle operazioni di cessione del credito, che si realizzano senza il consenso del debitore ceduto. La posizione del ceduto è tale proprio perché tradizionalmente è stato affermato che per esso è indifferente a chi pagare.
Quest’affermazione, però, porta con sé il corollario – ben noto in giurisprudenza e richiamato dai Tribunali appartenenti al filone maggioritario di cui sopra – che la cessione del credito non possa peggiorare la posizione del debitore ceduto.
Parimenti, è inevitabile ricordare che non esistono nell’ambito della cessione del credito norme del Codice civile che disciplinano le eccezioni opponibili dal debitore al cessionario. Si tratta, in questo caso, di argomentazione ben nota a quel filone giurisprudenziale ritenuto maggioritario descritto poco fa.
In tal senso è stato ritenuto che “A seguito della cessione del credito il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario. Pertanto, potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto.” (cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 575/2001; Cass. civ., Sez. III, sent. n. 8373/2009).
Ragionando nel contesto dei principi generali in materia di cessione del credito si può, dunque, ravvisare un primo motivo di criticità di questa sentenza della Cassazione. Tuttavia, si potrebbe obiettare che quella sulle cartolarizzazioni è una Legge speciale, che contiene una previsione ad hoc per cui, in deroga ad ogni altra disposizione “non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data.” (art. 4, secondo comma, L. n. 130/1999).
Riterrei, comunque, che ci si debba intendere sul significato di quest’ultima espressione, ossia su quando si possa parlare di credito sorto posteriormente alla cessione.
La Suprema Corte pare annoverare anche i crediti per eventuali indebiti tra quelli sorti posteriormente, poiché essi troverebbero la loro fonte in un accertamento compiuto all’esito di un giudizio ordinario di cognizione.
Eppure, abbiamo visto, anche grazie agli interventi degli altri relatori di oggi, che in diritto bancario molte questioni sfociano in nullità contrattuali, abbiano esse ad oggetto l’intero contratto o singole clausole. Ed è insegnamento pacifico quello per cui la nullità sia solo accertata dal provvedimento del giudice, che avrà efficacia dichiarativa ed ex tunc, dunque retroattiva. Siamo dunque sicuri che il contro-credito di un debitore ceduto fondato su nullità contrattuali possa dirsi sorto solo successivamente all’accertamento giurisprudenziale e dunque alla cessione?
Questa riflessione si collega strettamente con l’ultimo rilievo in chiave critica che provo a muovere alla sentenza in esame. In essa, infatti, la Corte ammette che il portatore dei titoli emessi dalla S.P.V. è comunque soggetto al “rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione”. Se la cessione ha quindi ad oggetto un credito (parzialmente) inesistente, il titolare dello strumento finanziario sembrerebbe sottostare al relativo rischio.
Ebbene, per comprendere quando si abbia un credito inesistente, occorre nuovamente far riferimento ai principi generali in materia di cessione del credito. In particolare, l’art. 1266 c.c. prevede che in caso di cessione pro soluto a titolo oneroso (come le cartolarizzazioni) il cedente debba garantire la veritas nominis, ossia l’esistenza del credito al momento della cessione.
La dottrina e la giurisprudenza che hanno esaminato tale concetto hanno tradizionalmente ritenuto inesistente anche il credito ceduto derivante da titolo nullo: “Nella cessione pro soluto il trasferimento al cessionario della titolarità del credito presuppone la esistenza di detto credito nella sfera giuridica del cedente. Il credito è inesistente quando lo stesso non appartiene al cedente bensì ad altro soggetto, ovvero qualora il titolo su cui dovrebbe fondarsi è inesistente, ovvero presenta una causa di nullità, o ancora quando il credito, esistente prima della cessione, risulti estinto per una causa sopravvenuta quando si perfeziona la cessione.” (cfr. da ultimo Trib. Viterbo, sent. 21.08.2019 in banca dati Pluris). Sul punto si può anche scomodare la dottrina e la manualistica tradizionale (Bianca, Torrente-Schlesinger), nonché risalente e mai smentita giurisprudenza di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 9428/1987; Cass. n. 1476/1947, richiamata in AA.VV., sub art. 1266 c.c., in La Giurisprudenza sul Codice Civile, a cura di C. Ruperto, Giuffrè 2005, in cui si parla della necessità di valido titolo).
Siamo quindi sicuri che, se il ceduto oppone alla società veicolo eccezioni o contro-crediti fondati sull’esistenza di nullità contrattuali, la sua domanda debba essere respinta sulla base delle argomentazioni di cui all’ultima Cassazione n. 21843/2019? Se i titolari degli strumenti finanziari sono soggetti al rischio d’inesistenza del credito ceduto, se il credito ceduto è inesistente quando fondato su titoli nulli e se la declaratoria di nullità retroagisce, perché la cessionaria del credito non potrebbe essere destinataria di domande (soprattutto di domande di accertamento negativo) da parte del debitore ceduto? Non sarebbe, allora, un problema di garanzia del credito, che la società veicolo potrà far valere nei confronti della banca originator?
Si tratta, naturalmente, di argomenti da prendere con la dovuta cautela, che hanno il solo scopo di far riflettere sull’ultima presa di posizione della giurisprudenza di legittimità. Spero comunque di essere riuscito a fornire qualche spunto critico.
Anche perché la sentenza esaminata pone non pochi dubbi legati alle sue conseguenze. Cosa dovrebbe fare – nel ragionamento della Corte – il debitore ceduto? Probabilmente, in casi analoghi a quello della decisione, dovrebbe opporsi all’eventuale estromissione della cedente, per evitare la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
In generale, però, non è detto che promuovere azioni solo nei confronti della banca cedente ponga al riparo il debitore da eccezioni di carenza di legittimazione passiva e gli consenta di recuperare l’eventuale indebito. L’alternativa, nel sistema delineato dalla Cassazione (ma forse anche dal Collegio di Coordinamento A.B.F.), sarebbe quella di subire passivamente ogni azione di recupero (anche espropriativa) da parte delle società veicolo, salva la possibilità di far valere le proprie ragioni nei confronti della cedente o, eventualmente, della S.P.V. una volta che essa abbia percepito l’indebito. Con un inevitabile peggioramento della situazione del debitore ceduto, a causa dell’operazione di cartolarizzazione.
Vi lascio con questi interrogativi, nella consapevolezza che le questioni legate alla titolarità del rapporto controverso diventeranno sempre più centrali nel contenzioso bancario. Trattandosi di questioni preliminari, appare probabile che, a seconda di quali saranno gli orientamenti prevalenti, le complesse problematiche di anatocismo, usura, forma, indeterminatezza e nullità dei contratti bancari (che anche oggi gli altri relatori hanno compiutamente affrontato) finiranno per rimanere assorbite in molte controversie.
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